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Cambiare il pensiero per cambiare l’emozione

Terapia cognitivo-comportamentale

Gli uomini sono agitati e turbati non dalle cose,
ma dalle opinioni che hanno delle cose.

(Epitteto)

 

A volte siamo erroneamente portati a pensare che l’emozione negativa che proviamo in un certo momento sia la diretta conseguenza di una situazione o un evento. Ad esempio, ottengo scarsi risultati scolastici o lavorativi (situazione), per questo motivo mi sento triste, demotivato oppure arrabbiato con me stesso o con gli altri (emozioni). La possibile reazione comportamentale è un impegno insufficiente.

In realtà, non è esattamente così. Le nostre reazioni emotive e i nostri comportamenti, infatti, sono influenzati da come valutiamo e interpretiamo ciò che accade (pensieri). Tornando all’esempio precedente, i pensieri potrebbero essere i seguenti:

“Non riuscirò mai ad ottenere buoni risultati”, “Se non ottengo buoni risultati è perché non sono capace, sono un buono a nulla”.

Tali pensieri giustificano le emozioni di tristezza e rabbia e possono condurre a scarsa motivazione e quindi a insufficiente impegno.

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Il modello cognitivo degli attacchi di panico

L’attacco di panico è definito come un’improvvisa manifestazione di ansia e si caratterizza per la presenza di sintomi fisici, come ad esempio palpitazioni, sudorazione, capogiri, sensazione di soffocamento, e sintomi cognitivi, quali paura di impazzire, di morire, eccetera.

Chi soffre di attacchi di panico teme che sensazioni fisiche o stati mentali, di per sé innocui, siano il segno di pericolo imminente. Ad esempio, può interpretare una semplice sensazione di peso al petto, come sintomo di un attacco cardiaco.

Ciò determina preoccupazione e ansia. Le sensazioni corporee e gli stati mentali conseguenti vengono interpretati in maniera catastrofica, generando ulteriore ansia. Si innesca così un circolo vizioso che conduce all’attacco di panico.

Secondo il modello di Clark, uno stimolo interno o esterno, che la persona considera minaccioso, genera ansia, con i relativi sintomi somatici (palpitazioni, respiro affannoso, ecc.) e cognitivi (sensazione di irrealtà, confusione mentale ecc.). L’erronea interpretazione di questi sintomi, fa aumentare l’ansia e intrappola la persona in un circolo vizioso.

In seguito al  verificarsi dell’attacco di panico, intervengono:

  • Attenzione selettiva: concentrare maggiormente l’attenzione sul proprio corpo, per scorgere segnali che potrebbero innescare un nuovo attacco di panico; ciò rende più sensibili a certi segnali e favorisce l’attivazione del circolo vizioso;
  • Evitamento: tendenza ad evitare le situazioni che la persona ritiene possa favorire il panico (ad esempio, mezzi pubblici, traffico, folla);
  • Comportamenti protettivi: hanno lo scopo di evitare le conseguenze temute, ma in realtà hanno solo l’effetto di mantenere il problema e di impedire la disconferma delle interpretazioni erronee (ad esempio, portare sempre con sé i farmaci, controllare il respiro).

 

Clark D.M. (1986), A cognitivemodel of panic. Behaviour Researchand Therapy, 24, 461-470.

Wells A. (1999), Trattamento cognitivo dei disturbi d’ansia, McGraw-Hill.

 

 

 

 

 

Perché l’ansia

Ansia. Psicologo Benevento

L’ansia è uno stato emozionale caratterizzato da disagio e tensione. Spesso è difficile identificare l’evento che la attiva, per questo essa tende ad essere diffusa e persistente. L’ansia è strettamente connessa alla paura, definibile come uno stato di allarme che si innesca in modo automatico in presenza di uno stimolo minaccioso. La paura è associata a un oggetto specifico, considerato fonte di pericolo; svanisce quando il pericolo si allontana. Pertanto, la paura si attiva quando la persona è esposta, fisicamente o psicologicamente, alla situazione che considera minacciosa; quando è innescata la paura, la persona prova ansia (Beck, Emery, 1988).

Il sistema dell’ansia/paura ha un carattere difensivo, che produce reazioni che fanno aumentare la probabilità di sopravvivenza in caso di pericolo. La risposta d’ansia, considerata nell’ambito dell’evoluzione della specie, svolge una funzione adattiva, permettendo all’individuo di autoregolarsi per evitare pericoli e gestire situazioni potenzialmente nocive. Conseguentemente, un comportamento che riduce la minaccia porta a una diminuzione dell’ansia. Continua a leggere